Ansima la terra attonita, su sé stessa rannicchiata,
la famiglia umana, malata di una febbre contagiosa,
troppo ha osato nell’arrogante slancio al blu del cielo.
Enorme, a dire il vero, la frenetica corsa dei suoi giorni.
Mani solitarie tremanti, adesso, rifuggono le altrui palme.
Pregano, giunte, a causa del misterioso velo nero calato sul mondo.
Ora, l’equinozio è nel chiuso lutto di uno straziante dolore,
dopo che una demoniaca folgore ha, d’un tratto, squarciato
equilibri instabili, manie di onnipotenza, dì felici e insani.
Là e ovunque, rimbombano le sirene, i bollettini di una guerra
che un bianco ed esausto esercito di eroici medici e volontari
ora sta lottando, fiero, senza tregua in una fangosa trincea,
ringhiando a denti stretti, ma l’argine è cementato come mai.
Ora, sì, che riecheggia l’urlo silente della battaglia, mentre,
nell’imposta clausura delle dimore, gli uomini, all’improvviso,
artigliano la bellezza dell’esistenza, somma di attimi del sommo bene.
Vorrebbero annullare il dannato metro di inumana distanza,
imparando dai vizi e dagli errori, dai mancati abbracci del passato,
rinascere al primo risveglio o all’ultimo raggio del giorno,
urlano a se stessi ciò che, alla fine, andrà buttato alla malora.
Si scoprono, a tarda ora, fratelli trepidanti, pur agli antipodi delle penisole.
Rimarrà scolpito in loro la severa lezione che insegna ad amare l’amicizia.
di Gioacchino Di Bella